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 BEVERE, romanzo di Mazzola (al secolo Antonio D’Agosto), pag. 141 edito dall’Associazione don Giuseppe D’Alario di Moio della Civitella (SA).
 
Bevere , è la storia di un giovane, chiamato con il suo soprannome, appunto Bevere, come tanti che si trovarono protagonisti di vicende, spesso più grandi di loro, durante l’ultimo conflitto mondiale, una guerra ingiusta, non voluta, cruenta e sporca. Ma Bevere, è anche la storia di Moio della Civitella, paese del Cilento e del suo autore, appunto Mazzola, che in questo e nell’altro romanzo “La vigna di Peppo” manifesta tutto l’amore per il suo paese, per la sua cultura millenaria, per il suo dialetto, per i suoi costumi, facendo dei due romanzi, documenti importanti per le future generazioni.
Bevere, cavatore di pietre e scalpellino per professione, allo scoppio della guerra viene chiamato alle armi e spedito sul fronte francese. Ferito e fatto prigioniero, in seguito riuscì a fuggire.
Durante la rocambolesca fuga, ripara sfinito in una stalla, dove, scoperto dalla padrona Marilyn, viene curato amorevolmente da lei e da suo marito Francois, i quali, avendo perso il loro unico figlio per le vicende della guerra, si affezionano a lui.
I due anziani coniugi sono proprietari di una grande azienda vitivinicola, frequentata da compratori e da operai, per cui raccomandano a Bevere di starsene ben nascosto.
Bevere, dal canto suo, cerca di sentirsi utile, per quanto possibile, nell’azienda.
Si avvicina il tempo della vendemmia e arriva puntuale Sophie, nipote di Francois, per dare una mano allo zio. Gli anziani zii tengono nascosto alla nipote la presenza di Bevere.
Un giorno, durante la vendemmia, Sophie rientra nel casolare per una sua esigenza e si avvede della presenza di una figura ignota e crede che si tratti di un ladro. Si arma di un grosso e nodoso bastone e lo va a snidare, minacciando di denunciarlo alla gendarmeria.
Bevere cerca di spiegarsi, ma i due non si capiscono perché parlano lingue diverse.
Il concitato diverbio arriva alle orechie di Francois, che è intento a vigilare sulla lavorazione delle uve; Francois corre e chiarisce alla nipote la presenza del giovane, spiegandole i motivi per cui non le è stata rivelata tale circostanza. Sophie, calmatasi,  torna alle sue cure.
Nei giorni successivi i due giovani simpatizzano, finchè il caso vuole che si trovino un mementino soli… e sboccia la passione. Passione travolgente, ancor più perché Bevere è ancora vergine, un po’ come, a quei tempi, lo erano tutti i giovani dei paesini , essendo le case di tolleranza, luoghi in cui venivano iniziati al sesso i giovani maggiorenni, presenti solo nei grossi centri.   
Gli zii gioiscono nel sapere i due giovanni innamorati e palesano la loro intenzione di dare loro in eredità l’immensa azienda.
Una notte Bevere sogna d’essere tornato al suo paesello e di aver ritrovato Pippinella, la sua amorosa, più bella che mai. Dal sogno il giovane si sveglia turbato. Il pensiero di Pippinella gli rode l’anima. La sua coscienza lo pone di fronte ad un bivio, ad una scelta: accettare l’eredità di Francois e la passione per la bellissima Sophie o fare ritorno al paesello natio tra le braccia di Pippinella, povera sì, ma amabile più di qualsiasi donna.
Francois si accorge della tristezza e del turbamento del giovane e lo invita ad essere sincero con lui. Bevere racconta il sogno e parla del suo amore, della sua famiglia e del suo turbamento, che gli ha messo una profonda confusione. Forte è la sua passione per Sophie, ma non può chiamarsi amore.
L’uomo lo invita a riflettere e, qualora avesse deciso di partire, comunque lui e Marilyn gli avrebbero voluto bene.
L’amore per Pippinella fece in modo che Bevere si accommiatasse dai suoi benefattori e da Sophie e prendesse la via del ritorno in patria.
Il viaggio di ritorno non fu semplice, ma pieno di insidie e di disavventure.
Innanzi tutto dovette passare la frontiera, valicando le Alpi e percorrendo le piste insidiose dei contrabbandieri. Poi, percorrendo le campagne e le strade di una Italia distrutta dai bombardamenti , tra una popolazione colpita nel morale; in luoghi dove il banditismo aveva rimesso radici, più che mai.      
 E dopo tanto peregrinare, finalmente il nostro eroe arriva al suo paese, paese che ritrova più povero di quanto l’aveva lasciato; povero soprattutto di uomini, avendo i paesi del sud, come sempre, pagato alla Patria il più alto prezzo in vite umane.
Il suo primo pensiero fu tutto per Pippinella, che andò a cercare appena dopo aver incontrato la mamma e il padre.
La sua Pippinella la trova più bella che mai. Lei lo ha amato ed aspettato, sentendo in sé, nonostante le tristi notizie dai fronti, che il suo grande amore sarebbe tornato.
E qui, Mazzola scrive delle bellissime pagine di poesia.
Il giovane dopo aver ritrovato l’amore deve assolvere un altro compito, più triste: incontrare i genitori del compagno d’armi morto tra le sue braccia. Ne avrebbe fatto a meno volentieri, ma lo ha promesso in punto di morte. Ed altra pagina di sublime poesia scaturisce dalla penna di Mazzola.
Il romanzo di Mazzola è un documento storico di grande valenza educativa, ricco di riflessioni serie, obbiettive, originali sui vari momenti della storia del nostro paese.
In esso non solo prevale la ragione della pace sulla guerra, ma anche l’amore sulla passione.
Le figure di Marylin e di Francois, che nonostante abbiano perso il figlio che combatteva la stessa guerra, ma nella posizione contrapposta a Bevere, perdonano ed offrono amore; esse sono figure eroiche da essere additate alle generazioni attuali e future, che pare poco disposte all’amore cristiano. Così dicasi di Sophie che, se pure a malincuore, fa un passo indietro per la felicità del suo amato.
Figura di un eroismo diverso, ma ugualmente grande, è anche Pippinella, che nonostante gli anni trascorsi in assenza di notizie, e nonostante le numerose profferte d’amore che pure riceve, spera con fermezza nel ritorno del suo amore. Tutti sappiamo quale era la condizione femminile nell’Ialia prerepubblicana, come sappiamo pure che, specie al sud, una donna già promessa non troverà più nessuno disposto a sposarla. E l’unico mezzo che aveva la donna per affrancarsi, era il matrimonio!
Ma anche Bevere recita la sua parte eroica: alla ricchezza con una bella compagna, preferisce la povertà da condividere con una fanciulla, bella, ma forse meno della francesina, ma pura come il latte ed amabile come il sole, per l'appunto Pippinella. Ed egli, Bevere, sceglie l’amore.  
I personaggi sono trattati con abilità e raffinatezza e si fanno muovere sullo scenario della trama con grande naturalezza.
Insieme all’altro romanzo “La vigna di Peppo”, una fonte di documenti tesi a salvare la memoria e il  lessico di Moio; rappresenta, inoltre, un documento importante per chiunque voglia conoscere da vicino la vita degli uomini del sud, con le sue difficoltà, le sue miserie, ma anche con le sue ricchezze culturali, paesagistiche, naturali, la sua storia che, nel particolare e nel suo microcosmo, affonda le radici nella civiltà greca e romana, che puntualmente ritroviamo nel lessico, nei riti, nel cuore degli uomini di questi meravigliosi paesi. Cuori sinceri ed amabili come il nettare dei suoi “vottari” come scrive Mazzola in “La vigna di Peppo”.
Infine, devo dire, che i due romanzi rappresentano la nostra identità culturale, di gente del sud, legata alla civiltà dell’agricoltura, che nei secoli andati hanno fatto del Mezzogiorno, oggi tanto vituperato, uno degli stati più ricchi ed importanti d’Europa, il Regno delle Due Sicilie; genti che hanno dato tanto allo Stato Unitario, ma che ben poco hanno ricevuto in cambio.
Grazie Mazzola per averci dato la possibilità di ricordare anche questo.
 
Campobasso, lì 20 agosto 2010

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