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“Domenico Sassi, poeta e medico”.
 
Ringrazio il presidente Ugo D’Ugo per le belle parole che ha voluto rivolgermi, ma lo ringrazio soprattutto perché ha organizzato, di più, ha voluto l’incontro di questa sera. Lo ha voluto, credo, per la sincera ammirazione che nutre nei confronti della poesia di Domenico Sassi, e per il suo antico amore per il dialetto e per le espressioni poetiche che nel dialetto si manifestano, si realizzano. Non devo certo ricordare che anche lui è autore di apprezzate poesie in dialetto campobassano (mi viene in mente l’elegante volumetto di versi del 1985 “Nostalgia de la Fota”, che già nel titolo, penso volutamente riconduce al grande Giuseppe Altobello, appassionato cantore di questa fonte, e, attraverso Altobello, alla migliore tradizione della poesia dialettale di questa città.
E non dimentico il suo legame con il mio paese, San Martino, alla cui storia e alle cui tradizioni Ugo è legato anche da vincoli sentimentali, affettivi, essendo la sua famiglia originaria di questo piccolo centro basso molisano, dove egli stesso ha tuttora parenti e molti amici…
L’incontro, inoltre, mi offre l’opportunità di riflettere su una stagione poetica, che ha prodotto nel nostro Molise opere di indubbio valore, opere significative nell’ambito della poesia dialettale: una stagione che ha inizio nel 1910 con Sciure de fratta di Eugenio Cirese e che continua con i versi del già ricordato Altobello, di Luigi Trofa, di Michele Cima, e, appunto, di Domenico Sassi.
Una stagione che trova un terreno fertile e matura nel clima culturale di fine Ottocento, quando era attuale la polemica sulla lingua, che si era accesa sulla scia delle considerazioni del Manzoni circa la necessità di una lingua nazionale che facesse da supporto al processo unitario che si era da poco concluso, e che aveva visto una appassionata rivalutazione del dialetto da parte di Isaia Ascoli e di Francesco D’Ovidio. Polemica favorita dal clima positivistico di quei decenni, che aveva propiziato le ricerche su quel grande patrimonio di cultura e di civiltà, che sono le tradizioni popolari (si pensi, tanto per fare qualche nome, a studiosi come Giuseppe Pitré o, più tardi, a Ernesto De Martino e alle sue fondamentali ricerche sulla la cultura e il mondo subalterno del meridione).
Ecco, questo è il retroterra culturale in cui matura l’esperienza umana e poetica di Domenico Sassi.
 
Domenico Sassi, a mio avviso, non ha avuto finora la fortuna che meritava e che merita…Eppure già il glottologo fiorentino Carlo Battisti, nella breve introduzione al poemetto sulla vita di S. Leo, aveva parlato di arte umile ma meritoria. E c’era stato qualcuno, che negli anni Trenta aveva intuito tutto il suo valore, come il dott. Fraticelli, il quale aveva affermato che i risultati poetici raggiunti dal Sassi erano tali da legare il suo nome al tempo, ed egli era sicuro che avrebbe dovuto tenerne conto chi nel futuro avesse voluto mettere assieme “i pochi ramicelli della nostra poesia vernacola, e dare di questa compiuti e ragionevoli ragguagli”.
Proprio da qui, da questo riconoscimento, partiva, qualche anno dopo, il bel saggio della figlia di D. Sassi, la prof.ssa Rosina Sassi Fusco, pubblicato su Il Molise Nuovo (n.1-2 del 1938), col quale l’autrice aveva voluto dare concretamente inizio a quell’opera di promozione e di conoscenza della figura paterna, accostandosi alla sua poesia “con cuore di figlia” e con intelletto d’amore; ma (occorre dire) l’amore filiale non le aveva fatto velo, anzi aveva acuito la sua l’intelligenza (la sua capacità di comprendere), e l’analisi si dispiegava con finezza ed efficacia, riuscendo a cogliere le tante bellezze di cui sono pieni i sonetti e le ottave dell’opera maggiore, dando così concreta e tangibile prova che solo ciò che si ama si comprende veramente.
Abbiamo poi dovuto aspettare il saggio sulla letteratura dialettale molisana di Luigi Biscardi (1983) per leggere le poche ma dotte e puntuali osservazioni sul nostro poeta, saggio che si concludeva con l’affermazione che “il poemetto del Sassi…rappresenta nello svolgimento della poesia dialettale del Molise un momento di non trascurabile significato”.
Nel frattempo il pubblico molisano poteva leggere qualche breve esemplare della poesia del Sassi su la“Prima Antologia di poeti dialettali molisani” (1967) di Emilio Ambrogio Paterno, e poi su “La letteratura dialettale molisana – Antologia e saggi estetici” di Luigi Gramegna (1993)”. Qualche cenno sul di lui si trova anche nel volume riguardante il Molise della “Letteratura delle regioni d’Italia – Storia e testi”, edita da La Scuola di Brescia del 1994.
Aggiungo che con colpevole ritardo (e lo dico anche in senso autocritico), solo nel 1998, l’Amm. Comunale di San Martino in Pensilis, organizzò un convegno su quello che è senza dubbio uno dei suoi figli più illustri e, a tutt’oggi, il suo maggiore poeta. “Domenico Sassi; poeta, medico, organizzatore di cultura, uomo di spicco del suo tempo”, era il titolo di questo convegno, al quale parteciparono personalità di grande rilievo, come Luigi Biscardi, l’allora vescovo della diocesi di Larino-Termoli, mons. Domenico D’Ambrosio, il prof. Domenico Marrano, primario di chirurgia generale al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, la prof.ssa Mariella Di Bernardo.

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