Liberazione al dopolavoro ferroviario di Campobasso

Categoria: Scritti in lingua Pubblicato: Sabato, 22 Aprile 2017

Conferenza del 21 aprile 2017

 LA LIBERAZIONE

Il 25 aprile ( tra qualche giorno ) cade l’anniversario della Liberazione. Una data molto importante per la nostra storia, però, spesso, molti ad essa  non danno  l’importanza che merita, come se per  tanti questa data fosse solo un giorno di festa qualunque. Questo è scarso senso di civismo, però ciò non è colpa loro, la colpa è di chi doveva fare gli italiani e non li ha fatti. La colpa è che molte generazioni non si sono rese conto di quanto ci è costata la libertà. Molte generazioni non hanno studiato affatto la storia del Secondo Conflitto Mondiale perché a scuola non si riusciva a completare il programma di storia, ora per una ragione ora per un’altra.

Per me, questa è la più bella giornata della nostra vita perché 71 anni fa, come se fosse oggi, ci liberammo dall’occupazione tedesca e dal fascismo, che avevano condotto al disastro il nostro paese e non solo; basti ricordare che a causa di quella guerra ci furono nel mondo 50 milioni di morti, senza contare  quanti morirono dopo per le conseguenze di essa. E non parliamo delle sofferenze degli orfani, che pure dovettero sopravvivere ai loro padri.

La festa venne istituita prima con D. L.vo n° 185 del 22 aprile 1946 dal Capo Provvisorio A. De Gasperi per la seguente motivazione: “A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale”. In seguito la Legge n° 260 del 27/5/1949 istituirà la festa nazionale definitivamente.

È opportuno ricordare alcuni fatti:  


Come scoppiò la 2° Guerra Mondiale?

La politica espansionista della Germania nazista, che aveva annesso la Renania nel 1936, l’Austria nel 1938, la Cecoslovacchia nel 1939 e quella dell’Italia che nel 1936 aveva conquistato l’Etiopia,  e nel 1939 l’Albania, sono i segni premonitori del secondo conflitto mondiale, che scoppia nel settembre 1939, quando l’esercito di Hitler occupa la Polonia.

In seguito a ciò Francia ed Inghilterra dichiarano guerra alla Germania.

L’Italia resta a guardare alla finestra prima, poi, con un pizzico di furbizia forse, vedendo che le cose andavano bene per Hitler, il 10 giugno 1940 entra in guerra accanto alla Germania, pensando di “ andarsi a sedere al tavolo delle trattative “ da paese vincitore.

Mussolini, pregusta già di prendere un suo bocconcino al banchetto di spartizione. Nel settembre dello stesso anno anche il Giappone fa lo stesso, avendo in mente di riconquistare alcune  isole importanti del Pacifico, tra cui le Haway.

Ma come si dice: Chi troppo vuole nulla stringe e non fare mai conti senza l’oste!

I politici, per la maggioranza, non hanno il senso della misura, specie se sono mezze tacche: poiché tali classifico io i dittatori.

Il sogno di Hitler non ha limiti e nel 1941, violando il trattato di non aggressione stipulato con l’Unione Sovietica e firmato  dai generali Molotov e Ribbentrop, Hitler attacca la Russia per espandersi verso est.

L’operazione si chiama “Barbarossa”, come il nomignolo di Federico I° di Svevia.  Le truppe italo-germaniche arrivate alle porte di Mosca e di  Leningrado dovranno arrestarsi per la resistenza dell’Esercito popolare sovietico e per il freddo gelido che costituisce di per sé una barriera protettiva per quella nazione;  e sarà un disastro.

Il 7 dicembre 1941, sul fronte orientale, i giapponesi attaccano la flotta americana a Pearl Harbour: questa sarà la goccia che farà traboccare il vaso. L’America, ch’era rimasta alla finestra, dando solo qualche aiutino all’Inghilterra, questa volta entra in guerra tutta intera, vale a dire con tutta la sua potenza economica e militare, a fianco di Inghilterra, Francia e Russia.

Nel’42 le forze dell’Asse (Roma, Berlino, Tokio) ricevono una sonora batosta  in Africa settentrionale e nel Pacifico.

L’8 Luglio 1943 gli anglo-americani sbarcano in Sicilia ed avanzano con la V° Armata americana sulla linea tirrenica, mentre l’VIII° Armata  britannica avanza su quella adriatica. 

 Nel 1943 era chiarissimo a tutti che la coalizione formata principalmente da Italia, Germania e Giappone stava ormai perdendo la guerra.

La pesante sconfitta subita dai tedeschi a Kursk e lo sbarco anglo-americano in Sicilia, cominciato il 10 Luglio 1943, ne erano una precisa conferma.

L’Italia (come già fecero l’Austria-Ungheria nel 1918 e la Francia nel 1940) era di fronte a un bivio: chiedere un armistizio o essere del tutto distrutta, continuando a sacrificare militari e civili in una guerra ormai persa.

In un tal frangente, è dovere di chi guida una nazione concludere al più presto il conflitto, per evitare sacrifici inutili. Ne erano consci anche in Germania, dove solo il fanatismo di Hitler e dei suoi seguaci si opponeva ad una pace negoziata.

 Italiani e tedeschi avevano combattuto gomito a gomito sin dal Giugno 1940. Il nostro esercito, pur riportando numerose vittorie in importanti fatti d’arme, si era esaurito in tre anni di lotta valorosa e durissima.

I militari germanici sapevano benissimo tutto questo.

 Già nell’Aprile 1943, il Principe Ereditario Umberto di Savoia e suo cognato, Filippo d’Assia-Kassel, si accordarono per manifestare a Hitler la loro convinzione che Italia e Germania dovessero uscire dal conflitto.

Il colloquio avvenne a Klessheim in quello stesso mese, ma senza risultato.

 Hitler, aveva perciò pensato,  se necessario,  trasformare l’Italia in un campo di battaglia, che rallentasse il più possibile l’avanzata degli alleati verso la Germania, e diede subito disposizioni per la preparazione del piano “Alarico”, che prevedeva l’invasione del nostro paese. In quel momento, Italia e Germania erano ancora alleate…Quindi stava preparando una vera vigliaccata a danni del nostro paese!

L’Italia fu quindi costretta a far da sé.

Premesso che il 19 Luglio 1943, un lunedi mattina, piovvero su Roma oltre 4000 bombe ad alto potenziale, che colpirono principalmente i quartieri di San Lorenzo, Tiburtino e Tuscolano, provocando 3000 morti e 11000 feriti, di cui solo a san Lorenzo ben 1500 vittime;  avvenimento che  colpì profondamente il morale della capitale e non solo, e che  scosse tanto  Pio XII° che accorse sui luoghi colpiti per portare il solidale sostegno morale ai romani,  il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo approvò un ordine del giorno proposto dal conte Dino Grandi ( presidente della camera dei fasci  e delle corporazioni), il quale segretamente capeggiava una congiura (qualcuno dice voluta altri ispirata dal Re), il cui  O. d. G. fu comunicato preventivamente a Mussolini. In esso veniva prevista, fra l’altro, la restituzione al Re di tutti i poteri che gli spettavano in base allo Statuto del Regno, ivi compresa, recitava il testo, “quella suprema iniziativa di decisione che le nostre Istituzioni a lui attribuiscono”.  L’O.d.G. Grandi fu approvato con 19 voti favorevoli, 7 contrari e 1 astenuto.

A questo punto e in tale situazione, Re Vittorio Emanuele III fece il suo dovere di sovrano costituzionale, accettando le dimissioni di Mussolini, il quale si recò da lui il giorno 26 per informarlo, ma il Re lo aspettava con tutto il preparativo per arrestarlo e spedirlo  nella prigione sul Gran Sasso; intanto il re vara il nuovo governo,  guidato dal generale Badoglio, che subito intavolò trattative di pace con gli alleati. (In frangenti simili, si comportarono analogamente, nella maggior parte dei casi anche contro il parere dei loro alleati, Francia, Finlandia, Ungheria e Romania, come già accennato in precedenza).

 Da questo momento scocca l’ora della riscossa e del riscatto italiano. Inizia la Guerra di Liberazione vera e propria.

Devo pure dire che da quanto detto scaturisce pure che non fu l’Italia , ma la Germania a tradire il popolo italiano, spostando il  grosso delle truppe in terra nostra. Questo per sfatare ogni dubbio alimentato dallo slogan nazi-fascista che vuole fossimo noi i traditori.

Prepariamoci ad entrare nella resistenza ascoltando Bella Ciaò 


ORA VIENE LETTA PREGHIERA del PARTGIANO.

 

PREGHIERA DEL RIBELLE
Teresio Olivelli
 (inverno 1943.1944)

Il profondo senso umano e religioso della Resistenza emerge da questo scritto di Teresio Olivelli organizzatore delle Fiamme Verdi del bresciano, rettore del Collegio Ghisleri di Pavia, datosi alla macchia, catturato e deportato morirà nel campo di eliminazione di Herbruck nel gennaio 1945.

SIGNORE
Che fra gli uomini drizzasti la Tua Croce, segno di contraddizione, che predicasti e soffristi la rivolta dello spirito contro le perfidie e gli interessi dei dominanti, la sordità inerte della massa, a noi oppressi da un giogo oneroso e crudele che in noi e prima di noi ha calpestato Te fonte di libere vite, dà la forza della ribellione.
DIO
Che sei Verità e Libertà, facci liberi e intensi, alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà, moltiplica le nostre forze, vestici della Tua armatura: noi Ti preghiamo. Signore.
TU
Che fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato, crocefisso, nell'ora delle tenebre ci sostenti la Tua vittoria: sii nell'indigenza viatico, nel pericolo sostegno, conforto nell'amarezza. Quanto più s'addensa e incupisce l'avversario, facci limpidi e diritti.
Nella tortura serra le nostre labbra. Spezzaci non lasciarci piegare. Se cadremo, fa che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente e a quello dei nostri Morti, a crescere al mondo giustizia e carità.
TU
Che dicesti “Io sono la resurrezione e la vita” rendi nel dolore all'Italia una vita generosa e severa. Liberaci dalla tentazione degli affetti:, veglia Tu sulle nostre famiglie.
Sui monti ventosi e nelle catacombe della città, dal fondo delle prigioni, noi Ti preghiamo: sia in noi la pace che Tu solo sai dare.
DIO
Della pace degli eserciti. Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi,
RIBELLI PER AMORE

Pubblicata nel giornale clandestino “II ribelle”, n. 4 e ripresa in La resistenza nella letteratura, a cura dell'Associazione Partigiani A. Di Dio, Milano, 1955, p. 149


 

Ora passiamo velocemente a ripercorrere i fatti salienti della guerra di Liberazione.

I tedeschi che avevano saputo anticipatamente dell’armistizio firmato il 3 settembre 1943, a Cassibile (SR) dai generali Castellano e Walter Bedell Smith, con il quale l’Italia  si impegnava a cessare le ostilità a partire dall’8 settembre, si preparano a rivolgere le armi contro i soldati italiani, i quali all’annuncio dell’armistizio , restano sbandati, non sanno da chi prendere ordini, mancando ogni collegamento con i comandi e con i vertici militari e politici. In questo frangente ogni comandante fa da sé. Non mancano atti di eroismo di molti soldati, né  dei nostri civili che già da un pezzo hanno iniziato una guerriglia di sfiancamento sulle montagne  appenniniche..

Il 9 settembre gli alleati sbarcano a Salerno e avanzano , sfondando la Linea Gustav, mentre i tedeschi si ritirano  sulla linea Gotica (che va da Rimini a Massa).

 Viene formato il Comitato di Liberazione Nazionale (C.N.L.A.I.) con le brigate partigiane “Giustizia e Libertà” e “Matteotti”.

Per iniziativa del Principe Umberto di Savoia si ricostituì il Regio Esercito.

Fu proprio per sua iniziativa, infatti, che nacque il Primo Raggruppamento

Motorizzato, trasformato nel più potente “C.I.L.” (Corpo Italiano di Liberazione) il 17 Aprile 1944.

Nel Settembre dello stesso anno  l’esercito si riorganizzò su 4 divisioni (“Cremona”, “Forlì”, “Foligno” e “Legnano”).

La Commissione Alleata di Controllo vietò al Principe ereditario di assumere il comando del C.I.L. e cercò di impedirgli di partecipare alle operazioni militari.

La stessa commissione vietò perentoriamente anche la partecipazione di Umberto di Savoia alla guerriglia partigiana. Ciò era ovvio, poiché la casa Savoia non poteva dirsi estranea agli avvenimenti che avevano portato al disastro il nostro paese.

 A questa, però, parteciparono molte formazioni regolari dell’esercito che, alla  data dell’armistizio, si trovavano nel nord. Ricordiamo, fra le tante, la

formazione piemontese costituita dai soldati della IV Armata, i gruppi operanti in Lombardia e nel Veneto, il gruppo “Berta” di Tullio Benedetti, la banda comandata da Manrico Duceschi (“Pippo”) e la banda di Bosco Martese, che agiva nel Teramano.

 Intanto nel 1944 gli americani sbarcano in Normandia e l’esercito tedesco viene sfiancato, attaccato su due fronti l’uno ad ovest con gli anglo-americani, l’altro ad Est ad opera dei Russi. I tedeschi cercano allora di rientrare in Germania per rinforzare le linee di difesa della madrepatria.

Il 21 aprile 1945 gli alleati entrano a Bologna, i cui cittadini erano insorti contro i tedeschi. In seguito  tra il 24 e  il 30 aprile scoppiano scioperi ed insurrezioni anche a Genova , a Cuneo, a Torino e a Milano.

Mussolini, che dopo la liberazione dal luogo di isolamento sul Gran Sasso aveva fondato la Repubblica Sociale, dando manforte a Hitler, vista la malaparata fugge e viene sorpreso, insieme alla sua amante Claretta Petacci, nei pressi di Dongo (Co), in località  Musso il 27 aprile  1945 su un’autocolonna tedesca, riconosciuto dai partigiani viene fermato e  arrestato. Condannato a morte dal Comitato di Liberazione nazionale, viene giustiziato il 28 aprile  1945, alle ore 16,10 a Giulino di Mezzegna. I loro corpi saranno esposti a Piazzale Loreto in Milano il 29 aprile.

La loro esposizione al pubblico fu fatta per due motivi: il primo, per vendicare  il turpiloquio fatto ad opera dei nazi-fascisti dei cadaveri di quindici partigiani sullo stesso luogo; il secondo, per dare un forte segnale  ai tanti  fascisti che ancora operavano nelle città del nord.

I quindici partigiani erano tutti detenuti a San Vittore per attività contro il regime; molti furono arrestati perché sorpresi a distribuire volantini contro il fascismo. Essi furono svegliati alle 4,30 del mattino del giorno 10 Agosto 1944 col pretesto di trasferirli in un campo di lavoro in Germania, fecero indossare loro una tuta da lavoro e li caricarono su un camion tedesco. Invece  li portarono in Piazzale Loreto e  li fucilarono per rappresaglia con il pretesto che una bomba era stata fatta esplodere dai partigiani  in Via Abruzzi, bomba che peraltro non aveva fatto vittime.

I loro nomi sono ricordati su una lapide:

Umberto Fogagnolo, Domenico Fiorani, Giulio Casiraghi, Tullio Galimberti, Vitale Vertemobile, Eraldo Soncini, Andrea Esposito, Andrea Ragni, Libero Temolo, Emidio Mastrodomenico,  Salvatore Principato, Renzo Del Riccio, Angelo Poletti, il quale fu ripetutamente torturato, Arturo Gasparini e Gian Antonio Brovin tutti giovani operai  e impiegati, molti padri di famiglia che erano stati arrestati solo perché non condividevano la sua politica. I loro corpi furono a lungo esposti al dileggio dei fanatici fascisti milanesi.

Ho voluto ricordare dettagliatamente questi martiri perché mi sento scandalizzato ogni volta che qualcuno stigmatizza l’esposizione dei corpi del Dittatore e della sua Amante.  Ma perché? Non fu lui stesso a dire ai suoi seguaci  “ se indietreggio fucilatemi”!   E quale pietà avrebbe potuto invocare una persona che ha distrutto un paese, mandato a morire milioni di uomini e perfino fatto ammazzare il marito di sua figlia e padre dei suoi nipoti, soltanto perché, da persona assennata, gli aveva suggerito di uscire da una guerra che stava già andando male? Scusatemi se per questo ho calcato la mano, non amo le ipocrisie, andiamo avanti, dunque.

Pochi giorni dopo il suo arresto furono presi e condannati a morte molti dei gerarchi fascisti.

Viene nominato un governo provvisorio retto da Ferruccio Parri, a cui seguirà il governo De Gasperi. Vittorio Emanuele III abdica a favore del figlio Umberto.

Viene indetto il referendum per la scelta tra monarchia e repubblica; il 2 giugno 1946 gli italiani vengono chiamati alle urne e scelgono lo Stato Repubblicano. Alcide De Gasperi, con una mossa intelligente, si proclama Capo Provvisorio dello Stato della Repubblica Italiana.  Umberto di Savoia parte per l’esilio. Viene eletta l’Assemblea Costituente.

2° intermezzo:  Fischia il vento  (fischia il v.)


 

LETTURA DI LETTERE DI CONDANNATI

Albino Albico

Di anni 24 - operaio fonditore - nato a Milano il 24 Novembre 1919. Prima dell'8 Settembre 1943 svolge propaganda e diffonde stampa antifascista. Arrestato il 28 Agosto 1944 - sommariamente processato - e fucilato lo stesso 28 Agosto, contro il muro di Via Tibaldi a Milano.

Carissimi, mamma, papa, fratello sorella e compagni tutti, mi trovo senz'altro a breve distanza dall'esecuzione. Mi sento però calmo e muoio sereno e con l'animo tranquillo. Contento di morire per la nostra causa: il comunismo e per la nostra cara e bella Italia. Il sole risplenderà su noi "domani "perché TUTTI riconosceranno che nulla dì male abbiamo fatto noi. Voi siate forti come lo sono io e non disperate. Voglio che voi siate fieri ed orgogliosi del vostro Albuni che sempre vi ha voluto bene

Achille Barilatti detto Gilberto della Valle

Di anni 22 - studente in scienze economiche e commerciali - nato a Macerata il 16 Settembre 1921. Tenente di complemento di Artiglieria, dopo 1'8 Settembre 1943 raggiunge Vestignano sulle alture maceratesi, dove nei mesi successivi si vanno organizzando formazioni partigiane. Catturato all'alba del 22 Marzo 1944 ed interrogato da un ufficiale tedesco e da uno fascista. Fucilato senza processo il 23 Marzo, contro la cinta del cimitero di Muccia.

Mamma adorata, quando riceverai la presente sarai già straziata dal dolore. Mamma, muoio fucilato per la mia idea. Non vergognarti di tuo figlio, ma sii fiera di lui. Non piangere Mamma, il mio sangue non si verserà invano e l'Italia sarà di nuovo grande. Da Dita Marasli di Atene potrai avere i particolari dei miei ultimi giorni. Addio Mamma, addio Papà, addio Marisa e tutti i miei cari; muoio per l'Italia. Ricordatevi della donna di cui sopra che tanto ho amata. Ci rivedremo nella gloria celeste. Viva l’ITALIA LIBERA! Achille

 Franco Balbis detto Francis

Di anni 32 - uffìciale in Servizio Permanente Effettivo - nato a Torino il 16 ottobre 1911 - Capitano di Artiglieria in Servizio di Stato Maggiore, combattente a Ain El Gazala, El Alamein ed in Croazia, decorato di Medaglia d'Argento, di Medaglia di Bronzo e di Croce di Guerra di 1a Classe - all'indomani dell'8 settembre 1943 entra nel movimento clandestino di Torino - è designato a far parte del 1° Comitato Militare Regionale Piemontese con compiti organizzativi e di collegamento -. Arrestato il 31 marzo I944, da elementi della Federazione dei Fasci Repubblicani di Torino, mentre partecipa ad una riunione del CMRP nella sacrestia di San Giovanni in Torino -. Processato nei giorni 2-3 aprile 1944 dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato -. Fucilato il 5 aprile 1944 al Poligono Nazionale del Martinetto in Torino, da plotone di militi della GNR, con Quinto Bevilacqua, Giulio Biglieri, Paolo Bracciní, Errico Giachino, Eusebio Giambone, Massimo Montano e Giuseppe Perotti -. Medaglia d'Oro e Medaglia d'Argento al Valor Militare.

Torino, 5 aprile 1944                                                                                   

La Divina Provvidenza non ha concesso che io offrissi all'Italia sui campi d'Africa quella vita che ho dedicato alla Patria il giorno in cui vestii per la prima volta il grigioverde. Iddio mi permette oggi di dare l'olocausto supremo di tutto me stesso all'Italia nostra ed io ne sono lieto, orgoglioso e felice! Possa il mio sangue servire per ricostruire l'unità italiana e per riportare la nostra Terra ad essere onorata e stimata nel mondo intero. Lascio nello strazio e nella tragedia dell'ora presente i miei Genitori, da cui ho imparato come si vive, si combatte e si muore; li raccomando alla bontà di tutti quelli che in terra mi hanno voluto bene. Desidero che vengano annualmente celebrate, in una chiesa delle colline torinesi due messe: una il 4 dicembre anniversario della battaglia di Ain el Gazala; l'altra il 9 novembre, anniversario della battaglia di El Alamein; e siano dedicate e celebrate per tutti i miei Compagni d'armi, che in terra d'Africa hanno dato la vita per la nostra indimenticabile Italia. Prego i miei di non voler portare il lutto per la mia morte; quando si è dato un figlio alla Patria, comunque esso venga offerto, non lo si deve ricordare col segno della sventura. Con la coscienza sicura d'aver sempre voluto servire il mio Paese con lealtà e con onore, mi presento davanti al plotone d'esecuzione col cuore assolutamente tranquillo e a testa alta.                  

Possa il mio grido di "Viva l'Italia libera" sovrastare e smorzare il crepítio dei moschetti che mi daranno la morte; per il bene e per l'avvenire della nostra Patria e della nostra Bandiera, per le quali muoio felice

Irma Marchiani  detta Anty

Di anni 33 - casalinga - nata a Firenze il 6 febbraio 1911 -. Nei primi mesi del 1944 è informatrice e staffetta di gruppi partigiani formatisi sull'Appennino modenese - nella primavera dello stesso anno entra a far parte del Battaglione " Matteotti ", Brigata " Roveda ", Divisione "Modena" - partecipa ai combattimenti di Montefiorino - catturata mentre tenta di far ricoverare in ospedale un partigiano ferito, è seviziata, tradotta nel campo di concentramento di Corticelli (Bologna), condannata a morte, poi alla deportazione in Germania - riesce a fuggire - rientra nella sua formazione di cui è nominata commissario, poi vice-comandante - infermiera, propagandista e combattente, è fra i protagonisti di numerose azioni nel Modenese, fra cui quelle di Monte Penna, Bertoceli e Benedello -. L'11 novembre 1944, mentre con la formazione ridotta senza munizioni tenta di attraversare le linee, è catturata, con la staffetta "Balilla", da pattuglia tedesca in perlustrazione e condotta a Rocca Cometa, poi a Pavullo nel Frignano (Modena) -. Processata il 26 novembre I944, a Pavullo, da ufficiali tedeschi del Comando di Bologna -. Fucilata alle ore 17 dello stesso 26 novembre 1944, da plotone tedesco, nei pressi delle carceri di Pavullo, con Renzo Costi, Domenico Guidani e Gaetano Ruggeri "Balilla") -. Medaglia d'Oro al Valor Militare.

Sestola, da la "Casa del Tiglio", 1° agosto 1944

  Carissimo Piero, mio adorato fratello, la decisione che oggi prendo, ma da tempo cullata, mi detta che io debba scriverti queste righe. Sono certa mi comprenderai perché tu sai benissimo di che volontà io sono, faccio, cioè seguo il mio pensiero, l'ideale che pur un giorno nostro nonno ha sentito, faccio già parte di una Formazione, e ti dirò che il mio comandante ha molta stima e fiducia in me. Spero di essere utile, spero di non deludere i miei superiori. Non ti meraviglia questa mia decisione, vero?                   

Sono certa sarebbe pure la tua, se troppe cose non ti assillassero. Bene, basta uno della famiglia e questa sono io. Quando un giorno ricevetti la risposta a una lettera di Pally che l'invitavo qui, fra l'altro mi rispose "che diritto ho io di sottrarmi al pericolo comune?" t vero, ma io non stavo qui per star calma, ma perché questo paesino piace al mio spirito, al mio cuore. Ora però tutto è triste, gli avvenimenti in corso coprono anche le cose più belle di un velo triste. Nel mio cuore si è fatta l'idea (purtroppo non da troppi sentita) che tutti più o meno è doveroso dare il suo contributo. Questo richiamo è così forte che lo sento tanto profondamente, che dopo aver messo a posto tutte le mie cose parto contenta. "Hai nello sguardo qualcosa che mi dice che saprai comandare", mi ha detto il comandante, "la tua mente dà il massimo affidamento; donne non mi sarei mai sognato di assumere, ma tu sì". Eppure mi aveva veduto solo due volte.                 

Saprò fare il mio dovere, se Iddio mi lascerà il dono della vita sarò felice, se diversamente non piangere e non piangete per me.                                

Ti chiedo una cosa sola: non pensarmi come una sorellina cattiva. Sono una creatura d'azione, il mio spirito ha bisogno di spaziare, ma sono tutti ideali alti e belli. Tu sai benissimo, caro fratello, certo sotto la mia espressione calma, quieta forse, si cela un'anima desiderosa di raggiungere qualche cosa, l'immobilità non è fatta per me, se i lunghi anni trascorsi mi immobilizzarono il fisico, ma la volontà non si è mai assopita. Dio ha voluto che fossi più che mai pronta oggi. Pensami, caro Piero, e benedicimi. Ora vi so tutti in pericolo e del resto è un po' dappertutto. Dunque ti saluto e ti bacio tanto tanto e ti abbraccio forte.

Tua sorella  Paggetto

Ringrazia e saluta Gina.

 Prigione di Pavullo, 26.11.1944

Mia adorata Pally, sono gli ultimi istanti della mia vita. Pally adorata ti dico a te saluta e bacia tutti quelli che mi ricorderanno. Credimi non ho mai fatto nessuna cosa che potesse offendere il nostro nome. Ho sentito il richiamo della Patria per la quale ho combattuto, ora sono qui... fra poco non sarò più, muoio sicura di aver fatto quanto mi era possibile affinché la libertà trionfasse.

Baci e baci dal tuo e vostro Paggetto

Vorrei essere seppellita a Sestola.

 Aldo Mei

Di anni 32 - sacerdote - nato a Ruota (Lucca) il 5 marzo 1912 -.Vicario Foraneo del Vicariato di Monsagrati (Lucca) - aiuta renitenti alla leva e perseguitati politici - dà ai partigiani assistenza religiosa -. Arrestato il 2 agosto 1944 nella Chiesa di Fiano, ad opera di tedeschi, subito dopo la celebrazione della Messa - tradotto a Lucca, sotto l'imputazione di avere nascosto nella propria abitazione un giornalista ebreo-. Fucilato alle ore 22 del 4 agosto 1944, da plotone tedesco.

 Babbo e Mamma,                                                                                

state tranquilli - sono sereno in quest'ora solenne. In coscienza non ho commesso delitti: solamente ho amato come mi è stato possibile. Condanna a morte - I° per aver protetto e nascosto un giovane di cui volevo salva l'anima, 2° per aver amministrato i sacramenti ai partigiani, e cioè aver fatto il prete. Il terzo motivo non è nobile come i precedenti - aver nascosto la radio. …

Muoio travolto dalla tenebrosa bufera dell'odio io che non ho voluto vivere che per l'amore! << Deus Charitas est>> e Dio non muore. Non muore l'Amore! Muoio pregando per coloro stessi che mi uccidono. Ho già sofferto un poco per loro..... Muoio anzitutto per un motivo di carità. Regina di tutte le virtù Amate Dio in Gesù Cristo, amatevi come fratelli. Muoio vittima dell'odio che tiranneggia e rovina il mondo - muoio perché trionfi la carità cristiana.

Amate la Chiesa - vivete e morite per Lei - è la Vita e la Morte veramente più bella…

…Tutto il popolo ricordi e osservi il voto collettivo di vita cristiana. Fuggite tutti il peccato unico vero male che attrista nel tempo e rovina irreparabilmente nella eternità.

Grazie a quanti hanno gentilmente alleviato, con preghiere e con altro la mia prigionia e la mia morte

Il povero Don Aldo Mei

*** https://www.youtube.com/watch?v=s0bygJ2jBmE        voci della montagna

 Lorenzo Viale

Di anni 27 - ingegnere alla FIAT di Torino - nato a Torino il 25 dicembre 1917 -. Addetto militare della squadra "Diavolo Rosso", poi ufficiale di collegamento dell'organizzazione "Giovane Piemonte" - costretto a lasciare Torino, si unisce alle formazioni operanti nel Canavesano -. Catturato l'8 dicembre 1944 a Torino, nella propria abitazione, in seguito a delazione, per opera di elementi delle Brigate Nere, essendo sceso dalla montagna nel tentativo di salvare alcuni suoi compagni -. Processato l'8 febbraio 1945, dal Tribunale Co:Gu: (Contro Guerriglia) di Torino, perché ritenuto responsabile dell'uccisione del prefetto fascista Manganiello -. Fucilato l'11 febbraio 1945 al Poligono Nazionale del Martinetto in Torino, da plotone di militi della GNR, con Alfonso Gindro ed altri tre partigiani.

Torino, 9 febbraio 1945

Carissimi,

una sorte dura e purtroppo crudele sta per separarmi da voi per sempre. Il mio dolore nel lasciarvi è il pensiero che la vostra vita è spezzata, voi che avete fatti tanti sacrifici per me, li vedete ad un tratto frustrati da un iniquo destino. Coraggio! Non potrò più essere il bastone dei vostri ultimi anni ma dal cielo pregherò perché Iddio vi protegga e vi sorregga nel rimanente cammino terreno. La speranza che ci potremo trovare in una vita migliore mi aiuta a sopportare con calma questi attimi terribili. Bisogna avere pazienza, la giustizia degli uomini, ahimè, troppo severa, ha voluto così. Una cosa sola ci sia di conforto: che ho agito sempre onestamente secondo i santi principi che mi avete inculcato sin da bambino, che ho combattuto lealmente per un ideale che ritengo sarà sempre per voi motivo di orgoglio, la grandezza d'Italia, la mia Patria: che non ho mai ucciso, né fatto uccidere alcuno: che le mie mani sono nette di sangue, di furti e di rapine. Per un ideale ho lottato e per un ideale muoio. Perdonate se ho anteposto la Patria a voi, ma sono certo che saprete sopportare con coraggio e con fierezza questo colpo assai duro.

Dunque, non addio, ma arrivederci in una vita migliore. Ricordatevi sempre di un figlio che vi chiede perdono per tutte le stupidaggini che può aver compiuto, ma che vi ha sempre voluto bene.

Un caro bacio ed abbraccio

Renzo

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PRIMA DI PASSARE AI FATTI DI CASA NOSTRA DEVO RECRIMINARE CON FERMEZZA IL COMPORTAMENTO DELLE FORMAZIONI BRITANNICHE composte di nordafricani (marocchini, tunisini ed algerini) che, autorizzati dai loro comandi, commisero ogni sorta di turpiloquio e spoliazioni ai danni delle popolazioni civili del cassinate e dei paesi limitrofi, tra cui si annoverano anche Mignano di Montelugo, Venafro e dintorni. Queste popolazioni furono sottoposte a stupri  e ruberie e soprusi e  mi pare che fino ad oggi non sono stati ripagati e nessuna condanna è stata emessa nei confronti degli autori. Anche questi sono crimini di guerra, vietati dalle convenzioni internazionali. Questa gente, in quei giorni, rimpianse l’assoggettamento ai tedeschi, i quali si erano comportati con loro con rispetto ed educazione. Questo lo devo dire per amore di verità.

Devo pure ricordare  un giovane partigiano molisano Mario Brusa Romagnoli; questo giovane nato a Guardiaregia nel 1924, che fin da bambino si trasferì con la famiglia a Torino  per motivi di lavoro, a 19 anni entrò a far parte  della Banda Pugnetto con lo pseudonimo di “Nando”, combattendo sulle montagne genovesi. Ferito in uno scontro, fu arrestato. Riuscì a fuggire dal carcere e si unì alla formazione Mauri, operante a Torino. Insieme con altri compagni, incaricati di assaltare un convoglio ferroviario tedesco sulla linea Torino-Milano, all’altezza di Brussasco Cavagnolo. Nello scontro a fuoco fu ferito nuovamente e catturato, il 25 marzo 1945. Condotto a Livorno Ferraris, fu fucilato il 30 marzo nella piazza Galileo Ferraris; il plotone di esecuzione era composto di italiani  della Monterosa. Prima di essere fucilato scrisse una toccante lettera alla madre, chiedendo di essere sepolto accanto al fratello Filippo. Morì gridando come tutti gli eroi “Viva l’Italia!”. A Lui fu concessa dapprima la medaglia d’argento e poi, nel 1965, nel ventennale della Resistenza, la medaglia d’oro, su iniziativa dell’Amministrazione Prov.le di Vercelli.

Ascoltiamo questa sua ultima lettera inviata alla madre:

“ Papà e Mamma, è finita per il vostro figlio Mario, la vita è una piccolezza, il maledetto nemico mi fucila; raccogliete la mia salma e ponetela vicino a mio fratello Filippo.

Un bacio a te Mamma cara, Papà, Melania, Annamaria e zia, a Celso un bacio dal suo caro fratello che dal cielo guiderà il loro destino in salvo da questa vita  tremenda. Addio. W. L’Italia! Mario Nando

P.S. Mi sono perduto alle ore 12 e alle 12 e 5 non ci sarò più per salutare la Vittoria. “

Il Nostro non fu l’unico patriota della famiglia, poiché già il fratello Filippo, di anni 24, e l’altro fratello Teobaldo, di anni 18 erano caduti per la Resistenza.

Da ultimo ricordiamo pure Giuseppe Barbato, quest’ultimo, di professione sarto, si arruolò nel Corpo delle Guardie di Frontiera e prestò servizio sul fronte italo- francese. Dopo l’8 settembre si portò sui monti cuneeesi e entrò a far parte della 104° Brigata Garibaldi “ Carlo Fissone”. Che operava in Piemonte.. Arrestato durante un rastrellamento tedesco, fu incarcerato a Cuneo. Durante la prigionia gli fu chiesto se voleva lavorare ed egli diede la sua disponibilità, pensando di poter evadere; invece lo trasferirono a Centalto. Durante il trasferimento il convoglio fu attaccato da una formazione partigiana. Allora la scorta  spinse lui ed altri tre detenuti giù per la scarpata  lo condussero in località Chiabotti Duelli dove, per rappresaglia, lo fucilarono insieme ai suoi compagni. Era il 30 settembre 1944. Sul luogo è stato apposto un cippo che  ne tramanda la memoria.  

Continuando parliamo ora  dei fatti molisani e diciamo, subito, che Radio Londra, alle ore 15,30 dell’8 settembre, diffuse la notizia ed un minuto dopo alcuni giovani universitari  campobassani scesero in strada gridando: La guerra è finita! È finita la guerra! E la gente in strada corse ad abbracciarsi e a sorridere. Ma i poliziotti increduli li fermarono,  li portarono in questura, tolsero loro lacci e le scarpe e li rinchiusero in guardina. Poi dopo alcune ore dovettero rilasciarli perché le pressioni dei genitori ( alcuni erano personaggi in vista )  s’erano fatte pericolose. Ecco come reagì il potere nella nostra città! Ma intanto anche nelle ore successive e nei giorni successivi nessun proclama era stato diffuso dalle autorità locali.

Dovette passare ancora qualche giorno per renderci conto che effettivamente la guerra  era finita, poiché in città incominciarono ad arrivare gli sbandati, alla men peggio, con qualsiasi mezzo. Li vedevi stanchi, buttati a terra, affamati. Le case si riempirono di profughi, molti provenienti dalla vicina Campania.

Nel contempo, nei giorni successivi, in città arrivarono altre truppe tedesche che dall’Abruzzo indietreggiavano verso Roma. In quei giorni la città era affamata, ci furono molti episodi di furti. Le truppe tedesche portavano via tutto ciò che serviva per il loro vettovagliamento. A Campobasso ci fu pure una protesta attuata da alcune donne che occuparono la Prefettura; alcune di queste talmente infervorite afferrarono il prefetto e lo appesero testa giù pensoloni per il balcone. Esse erano affamate, non avevano altro sostegno che il sussidio militare che era una elemosina. A loro non fu fatto niente e il Prefetto promise degli aiuti. Di queste ne ricordo il soprannome di una, che ho conosciuto personalmente. Ricordo che era una donna molto energica.   

Nei giorni tra il 7 e  il 13 ottobre la città fu cannoneggiata; le granate passavano sopra di noi, mia madre diceva che andavano a cadere verso Vinchiaturo. Una di esse cadde sul Seminario e colpì il vescovo Mons Secondo Bologna, che la sera dell’11 stava raccolto in preghiera nella cappella con una suora. (del fatto fu testimone oculare don Michele Ruccia suo segretario che era sceso a chiamarlo per informarlo  dei danni che il bombardamento aveva provocato. Mons Ruccia rimase impietrito sulla porta d’ingresso proprio mentre la bomba dilaniava il vescovo e del fatto diede testimonianza, successivamente, ai suoi studenti dell’Istituto Magistrale. Leggi con occhi velati di F.L. D’Ugo, il Filo Editore Roma ).  

Ci furono pure alcuni mitragliamenti  aerei, uno in particolare fece delle vittime davanti alla stazione e davanti al deposito locomotive.

Mentre Isernia fu bombardata il 10 settembre per errore dagli alleati che provocarono una carneficina. Per questo la città è stata decorata con medaglia d’oro.

 Le ultime truppe tedesche si preparavano ad andare verso Cassino, fecero saltare le tubature dell’acqua e del gas; fecero saltare i magazzini e i depositi di carburante. Portarono via animali da macellare, specie maiali, lasciando nello sconforto coloro che erano stati i legittimi proprietari.  In città erano rimasti una trentina di soldati che sparavano di tanto in tanto qualche colpo di obice tanto per far notare la loro presenza.

Ci furono alcune persone che si recarono nei pressi del cimitero ed  avvisarono gli alleati che i tedeschi si stavano dirigendo verso Roma e che la città ormai era indifesa. Le truppe alleate finalmente entrarono in città: era il 14 ottobre, al mattino. Erano canadesi e polacchi.  Ed ora finalmente la gente scese in strada ad accoglierli e a festeggiarli.

I soldati distribuivano sigarette e cioccolata  e scatolette di carne. 

Da noi dopo l’8 settembre avvengono isolati episodi di  resistenza contro i tedeschi; mentre forte è la rabbia contro i simboli del fascismo e qualche vendetta verso alcuni gerarchi: ad esempio a san Giovanni in Galdo il Potestà fu scacciato dalla sua abitazione da alcuni uomini del paese e trascinati in piazza a colpi di calci nel sedere, mentre la popolazione  assaliva i suoi magazzini , in cui avevano trovato ogni ben di Dio : grosse casse di pasta, lardo, prosciutti, salami, scatolette di tonno, farina, legumi ed ogni sorta di vettovaglia, tutta roba negata al popolo nei giorni  di carestia e fame. A Duronia, a Montelongo, a Macchiavalfortore ed in altri paesi vengono occupate le sedi del Fascio. Furono liberati i politici e gli ebrei che erano reclusi nei campi di concentramento di Vinchiaturo, Casacalenda, Boiano, Agnone e Isernia. Furono arrestati e  portati a san Giovanni in Galdo il Podestà Correra  e il Preside Fraticelli; altri come Guido Iamiceli, Renato Pistilli furono fermati. Processati verranno tutti rimessi in libertà, dopo un breve periodo di prigionia a Padula; solo qualcuno  fu mandato per un breve periodo presso un campo di prigionia inglese. 

Ci fu un morto in Via Veneto, un maggiore della milizia, che fu assalito da alcuni civili e soldati rientrati, ma il morto ci scappò perché la figlia di costui aveva collaborato con i tedeschi, come interprete. Alcuni personaggi, aiutarono gli americani ad arrestare i fascisti che avevano avuto qualche minima responsabilità; ma non mancarono piccole vendette personali.

I ( liberatori), tra virgolette, (visto che radio Londra nei suoi bollettini annunciavano quotidianamente la liberazione di ogni paese: ad esempio: Le truppe inglesi hanno liberato la città di Montagano, ecc.) portarono un certo cambiamento di costumi, con la loro musica, e la gente si lasciava coinvolgere anche dalle offerte di denaro e viveri.

La città era stata designata quale luogo di riposo delle truppe impegnate in prima linea sul fronte di Cassino. Insomma offriva ogni tipo di ristoro per i combattenti inglesi e polacchi. Riferimenti a ciò li troviamo anche in Rodolfo Mastropaolo “ Colloqui con mio padre”, che destina molte pagine ai giorni della liberazione. Costui fu proprio uno di quelli che nel pomeriggio dell’8 settembre fu arrestato, il cui padre era comandante del Distretto, visto che gli ufficiali più in alto di grado erano andati via. Il padre di Rodolfo mise a disposizione dei campobassani affamati tutti i beni di magazzino avanzati, dopo che i tedeschi avevano soddisfatto alle loro necessità.

Andando avanti con il  discorso,  non possiamo ignorare  quei martiri che sono stati trucidati dai tedeschi in ritirata per aver tentato o pensato soltanto ad una parvenza di opposizione allo strapotere nazista:  primi fra tutti i martiri di Fornelli, impiccati il 27 ottobre 1943: avv. Giuseppe Laurelli, podestà, don Antonio D’Ambrosio, parroco, Giuseppe Castaldi, Vincenzo Castaldi, Celestino Lancellotta, Domenico Lancellotta, Michele Petrarca tutti liberi cittadini.

A Lucito, ci racconta in un suo scritto  Luluccio De Rubertis, che  un povero contadino , cercando di difendere l’unico suo bene, l’asino, che gli veniva requisito senza tanti complimenti, addentò con un morso il soldato per fargli mollare la cavezza, ebbene costui che risponde al nome di Alessandro Baccaro, fu costretto a scavarsi la fossa prima di essere fucilato all’interno di essa; dopo di che, non contenti gli incendiarono la casa in paese. Ma ce ne sono tanti altri di episodi da raccontare, ma la lista sarebbe lunga ed io  mi fermo anche perché, i nostri martiri rappresentano una bazzecola rispetto  alla enorme quantità di cittadini uccisi per rappresaglia nel resto dell’Italia!

Se noi volessimo ripagare il popolo tedesco con la stessa medaglia, facendo un calcolo approssimativo e cambiando le proporzioni, sapendo che per un soldato tedesco morto ne giustiziarono mediamente dodici civili italiani , noi ne dovremmo ammazzare dieci volte 12 soldati tedeschi per ogni nostro povero civile  a cui fu tolta la vita, poiché i nostri erano persone che non avevano fatto male a nessuno; ed allora non so se una città come Bonn potesse ancora esistere!  

Sul piano militare vero e proprio c’è da ricordare il contributo dato dagli alpini molisani alla costituzione del Battaglione “Piemonte” che si era trasferito nell’Alto Molise e che si era dimostrato forza determinante per la conquista di Monte Marrone, ultimo ostacolo all’avanzata alleata verso la capitale, ma da Sud-Est.  

La compagnia molisana era comandata dal capitano Ezio Campanella di Boiano.    

Riflettendo, quindi,  devo dire che in effetti solo pochi molisani furono impegnati nella resistenza. Come pure devo constatare che  la maggior parte votò a favore della monarchia, al successivo referendum del 2 giugno 1946.

 Altra constatazione è pure che tutti coloro che erano stati a capo delle istituzioni  e ai vertici del partito fascista, salvo poche eccezioni, all’avvento della repubblica passarono nelle file democristiane e liberali e restarono tutti ad amministrare la cosa pubblica. Ciò certamente non ha giovato molto al Molise post-bellico, ma questo potrebbe essere oggetto di riflessione per altro incontro.

Avviandomi a chiudere questo mio modesto intervento, dico che il 25 aprile 1946 segna il culmine del risveglio della coscienza nazionale. Alla Liberazione della Patria nostra si poté arrivare grazie al sacrificio di tanti giovani, ragazzi e ragazze ( una per tutte Tina Anselmi a cui va principalmente la mia stima e la mia simpatia), ragazzi, ripeto, che pur appartenendo ad ampio schieramento politico, si chiamavano tutti con una parola sola: Partigiani e che combatterono al fianco di molti soldati, provenienti da paesi lontani e diversi ( Stati Uniti d’America, Australia, Inghilterra, Francia, che includevano pure  brasiliani e democratici di tutto il mondo), ma tutti accolti come alleati.

Quindi fu dunque la Resistenza partigiana a riscattare il nostro onore e la dignità del nostro paese. Fu dunque essa che  alimentò la sete di riscatto e che ci condusse il 2 giugno 1946 alla Repubblica Italiana, fondata sulla Pace, sul Lavoro e sullo Sviluppo

Concludendo, non posso fare a meno di chiudere senza ricorrere a quanto scritto dall’Associazione Nazionale Partigiani, e di riferire pure alcune parole dette negli anni addietro dal presidente Ciampi e dal presidente dell’ANPI Paolo Emilio Taviani:.

“Certamente, la Resistenza fu una guerra,  dura, con tutti i sacrifici e gli immani dolori . Ma fu anche il nuovo Risorgimento; una forza popolare che germinò spontanea e genuina acquistando, gradatamente, coscienza e consapevolezza, per divenire poi la rappresentanza viva e legittima presa di coscienza di un intero

popolo che anelava ad una nuova vita.

E oggi, quelle aspirazioni, sono base vitale ed operante della nostra vita civile.

Una Resistenza che, contrariamente a quanto taluni sostengono, ha avuto un supporto prezioso ed indispensabile nella partecipazione popolare, in quella “resistenza civile” che permise alle forze partigiane di riuscire anche là dove l’insufficienza dei mezzi e di organizzazione avrebbe potuto far segnare una partita perduta.

E, alla Resistenza vi parteciparono molte formazioni partigiane,  all’interno di esse di diverso orientamento ideologico (comunisti, democristiani, socialisti, repubblicani, liberali, azionisti e anche militari “alla macchia”). Non raramente, la scelta della formazione fu casuale, dovuta a motivi contingenti e territoriali che non consentivano

alternative.

L’obiettivo primario era la lotta al governo illegittimo imposto con la forza dal tedesco invasore.

Si combatteva, quindi, per la libertà dell’Italia e degli italiani, rimandando a dopo la vittoria l’esternazione di una eventuale appartenenza politica, pur nel comune intento dell’affermazione dei valori di libertà e di democrazia, manifestatisi poi nella

elaborazione della Costituzione repubblicana.

Non a caso, in più occasioni, l’allora Presidente della Repubblica

Carlo Azeglio Ciampi, ebbe a dire che “La Resistenza vive nella

Costituzione”. Essa, infatti, è stata la grande conquista della nostra lotta

di Liberazione e non vi è dubbio che si è nel giusto quando si afferma

che la Costituzione ha le sue basi nella Resistenza”.

 Un protagonista della lotta partigiana, Paolo Emilio Taviani, era categorico nell’affermare che “dalla Resistenza è nata la Repubblica ”, osservando che “la libertà del 1945 e di oggi non ci fu portata in dono, ma la conquistammo, certo

non da soli (quale fu il popolo che da solo vinse la guerra?) ma anche

noi partecipammo alla sua conquista: vi partecipammo con la sofferenza,

il sacrificio, l’olocausto. Non la ricevemmo in dono: questo fu il frutto

più prezioso del secondo Risorgimento nazionale”.

Io aggiungo: Signori degli anni 2000, per carità  NON TOCCATELA  perché la nostra Costituzione è un MONUMENTO di Civiltà da additare a tutte le Nazioni del Mondo!!!

https://www.youtube.com/watch?v=lszelZUAGgI  (Il sentiero)

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