Lo scalpellino
Quando il sole batte infuocato
e costringe la cicala a frinire
e il ramarro ratto attraversa
la strada con la coda rizzata;
o quando il freddo tormenta
dell’olivo le giovani fronde
e la pioggia tremenda flagella
il rovere e il castagno,
lo scalpellino è al suo posto
con la bugiarda e lo scalpello in mano.
Lo difende il cappello sul viso calato,
d’estate,
o un ombrello a due pietre ancorato,
d’inverno.
Il netturbino spazzando la strada al mattino
gli dà il buon giorno,
il contadino rincasando dai campi
gli augura la buona notte.
Seduto su una pietra squadrata
egli si consuma in lunghe giornate
a modellare blocchi di pietra,
a dar vita a puttini e mortai,
selci, camini e chiavi di volta
e blasoni per grandi signori.
I colpi al bulino assestati risuonano
gioiosi al passante curioso
che si ferma e che chiede ed ammira
il talento e virtù di sue mani.
Poi a sera stanco e sudato contento
alla famiglia reca i quattro soldi di paga
e qualche dito ammaccato
a consolazione della sua giornata.
Ora questo mestiere non trova
più uomini intendi ad apprenderlo
e scalpellini più non vedi a battere pietre,
la musica del bulino non odi ai cantoni di strade,
né all’ombra del leccio frondoso.
E la gente passando davanti
alle regge e ai palazzi ducali sospirando
s’inchina ed apprezza “ Oh che grande,
oh che opera d’arte codesta, oh che bravo…”
scordando l’artista scalpellino morto di fame.
Campobasso 12 maggio 2017
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