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B - Introduzione

 Questo libro non è un poema che racconta una storia del tipo dell’Iliade, dell’Odissea o della Gerusalemme Liberata, ma una raccolta di poesie simile a un canzoniere. Sono 97 liriche che, naturalmente, non possiamo leggere tutte, considerato il tempo che abbiamo a disposizione.

Ve ne leggerò solo una dozzina per permettervi di avere un rapporto diretto con il suo estro, col suo stile e con il suo linguaggio poetico. Però, pur riconoscendo che ogni poesia ha un valore unico e un suo messaggio da trasmettere, dobbiamo dire qualcosa sul libro intero, considerato che esso, nel suo insieme, ha certamente un valore in più. Nel libro ci è dato cogliere la figura umana, l’anima di chi scrive, la sua cultura, i suoi valori, la sua fede, cioè la sua poetica.

 La poetica, definita dal prof. Roberto Pasanisi una Weltanschauung, una visione del mondo (da Welt = mondo; anschauung = manifestazione), è una filosofia costruita non con lo strumento tipico della ragione rigorosa, dimostrativa, e della scienza ma con il linguaggio della poesia.

Perché? Perché, anche se l’autore sa benissimo quanto sia necessario nella vita avere la testa sul collo e ponderare ogni cosa con la ragione, riguardo alle grandi verità della vita, egli, e non è il solo, ritiene che la filosofia abbia dei limiti che non riesce a superare.

Anche Ugo D’Ugo nella poesia d’apertura del “Canto della ciavola” intitolata “Al di là” esprime lo stesso concetto là dove dice:

Invano con la mente \\ tento di infrangere \\ quel muro, donde \\ riverbera lo sguardo mio \\ al di là dello zigzagare \\ sulle cime innevate \\ dei monti. \\ Socchiudo gli occhi \\ ed affido al periscopio \\ dell’anima mia \\ svelarmi il perché \\ di questo infinito \\ andare. \\...

Non è alla mente, cioè alla ragione, ma al sesto senso dell’anima che affida l’onere di spiegare un problema così profondo e di così grande portata, perché solo l’anima sa innalzarsi al di sopra di quell’orizzonte, fino alle stelle, e vedere immagini anche solamente sognate, sentire armonie stupende, guardare la vita al disopra degli elementi contingenti, al di sopra di ogni limite, di ogni confine.

Quella del Di Petta non è solo manifestazione del suo spirito, voce autentica della sua anima, ma anche una poetica che pone al centro del suo pensiero l’uomo del nostro tempo, un uomo in continua lotta per cercare la sua strada, che deve munirsi di coraggio per superare i suoi ostacoli e per cercare di rimanere fedele a se stesso, ai suoi impegni civili e morali, alla sua fede, nella solidarietà con i suoi compagni di viaggio.

Inoltre è anche una poetica che mira all’educazione, al perfezionamento dell’individuo e della società.

Questo che dico non è una mia libera riflessione. Corrisponde a quanto lui ha manifestato nell’opera e negli incontri culturali che ha avuto da diverse parti come risulta dal libro sulle “Annotazioni” che vi ho consigliato.

Dunque per lui la poesia è prioritaria rispetto alla filosofia. L’autore distingue tra ragione, filosofia, scienza da un lato e arte, musica, poesia dall’altro.

La poesiadice - è capace più della ragione di penetrare nei meandri più reconditi dell’animo”. Questo atteggiamento è comune alla generazione degli scrittori postmoderni che hanno assistito al crollo delle ideologie del nostro tempo. Il nostro è un mondo in cui tutto è relativo e ogni capacità dell’uomo è segnata dal suo limite. Per lui la poesia ha ambiti unici, funzioni uniche: “è la più alta espressione della mente e del cuore dell’uomo, una forma d’arte che raggiunge profondità abissali. L’essenza della poesia penetra nel profondo delle cose e ci mette a contatto con il mistero e con il divino. Anche il nostro musicista e poeta Aldo Ricciardi nel suo meraviglioso CD intitolato “Segni nel tempo”, nel quinto brano musicale “Preghiera” ci rivela questo bisogno dell’animo del poeta di innalzarsi sino a Dio:

Vulesse vulà cumma a na palomma \\ p’arrevà ‘nciele, chiù vicine a Die \\ e notte e iuorne farle na preghiera \\ la creanza de sta terra n’ po’ muri.\\

La poesia dà forma ai sentimenti più profondi del cuore, scuote e illumina le coscienze aprendole al sentimento del divino. 

Il verso ha un’acutezza che squarcia ogni verità, come un bagliore illumina il buio della notte.

La sua funzione catartica purifica l’animo del lettore, lo rende migliore, mentre quella sociale, solidarizza gli uomini, facendo sì che ognuno ritrovi il proprio vissuto e i valori che vorrebbe perseguire negli altri.

Il canto poetico unifica l’arte e la morale e insegna all’uomo a commuoversi per il dolore degli altri, a saper vedere se stesso nell’altro e, quindi, ad accettarlo e amarlo.

“Dove arriva la poesia – egli conclude - la ragione non può, non riesce ad arrivare.”

Anche nel manifestare il suo rapporto con il mondo il poeta Di Petta è coerente con quanto abbiamo detto. Egli decanta, esplicitamente, la bellezza del creato e l’armonia della natura e dice che esse incantano l’anima e riescono a farle dimenticare il tumulto epocale che dissemina il dolore nell’universo, ma è cosciente che questo non basta, che “il male non può vincere definitivamente sul bene”. Ed è proprio questa convinzione che gli dà lo slancio che lo riporta sulla giusta strada: “Sempre in cammino \\ sul filo della vita (pag. 43 di “Emozioni”).

Ottimismo e pessimismo s’incontrano in lui. Per lui più che la natura è l’uomo il più grande fattore del male del mondo, un male che tutti vorremmo che non ci fosse. Sente che l’uomo deve cambiare se vuole superare quel tumulto epocale. E allora occorre recuperare quei valori universali che sembravano perduti senza i quali si perde la rotta del proprio cammino e la poesia, che spesso è rifugio per gli uomini deboli, deve diffondere messaggi di speranza.

Il Di Petta, nel suo itinerario lirico, procede con una costante tensione morale e civile, come fa Giovanni Raboni (1932) nelle sue opere poetiche. Il nostro autore è sostenuto da una tensione religiosa che gli fa superare quello smarrimento, quella crisi, portandolo oltre la post-modernità. Pur portando le cicatrici di quel  mondo, spezzato dalle grandi tragedie del nostro secolo, che si dibatte tra opposte ragioni per ritrovare il suo equilibrio, le sue ragioni di vita, egli si slancia con fede nella restaurazione di un mondo fatto di solidarietà e di condivisione degli autentici valori umani e cristiani.

Molti poeti e scrittori, compagni di viaggio del nostro autore, hanno avuto momenti di grande smarrimento. Basta citare ciò che dice Alda Merini (1931-2009) Io non credo più nell’uomo…Dietro ogni libertà sospirata \\ c’è in agguato una belva. Lei e il Giudici (1924), si sono rifugiati nell’ironia; altri, come Tiziano Rossi (1935), hanno ristretto il loro orizzonte tematico all’ambito dei rapporti familiari accontentandosi di rilevare l’eroismo che si cela nelle pieghe della quotidianità; Zanzotto (1921) ha cercato nel mondo pastorale quello perfetto che vagheggiava, riscoprendo la semplicità della vita serena e sincera del suo paese e la bellezza della lingua nativa, il dialetto. Il Di Petta (1936), pur risentendo di tutte queste istanze, non rimane prigioniero di esse. La sua anima si espande più libera a causa del suo equilibrio ritrovato.

Questo è il profilo umano e poetico del Di Petta che ci è dato cogliere a larghe mani nella sua poesia.

Lo stile e il linguaggio: La facilità di comprensione dei suoi versi non va fraintesa. Essa è dichiaratamente voluta e d’altronde è la tendenza comune degli scrittori di questo momento storico della letteratura postmoderna, - come viene definito da Walter Pedullà (1930), e da Jean Francois Lyotard (1928-1998) - non solo italiana, in cui i confini culturali di ogni paese hanno rotto gli argini. Oggi si legge tutto ciò che viene prodotto nel mondo in senso orizzontale, a 360°, e in senso verticale, dalle origini della storia ad oggi, in tutte le lingue, comprese le parlate gergali. 

    Anche per questo l’uomo è disorientato, sente che la verità è frantumata in diverse opinioni per cui sente il bisogno di raccogliersi in se stesso, nella sua interiorità, per meditare e comunicare ciò che ancora sente portatore di valori eterni.

Essendo il Di Petta un autore che ha speso la sua vita a vantaggio dell’educazione dei giovani, parla una lingua semplice, comune, sobria, chiara, che rifiuta ogni forma di ermetismo. Il postmoderno ha dato a tutti i linguaggi, nazionali e locali, uguale dignità letteraria.

Per quanto riguarda la lingua vi invito a leggere quanto ha scritto Bruno Baldini nella sua poesia “La parola” a pag. 147 del suo libro “Campuasce a fronte e limone”, volume II, per rendervi conto di quanti linguaggi si possono parlare con la parola, dal più basso, volgare, sporco e truculento al più alto, spirituale e divino.

Di Petta ha scelto una lingua nobile, dignitosa, capace di parlare a tutti gli uomini, grandi e piccoli, colti e incolti, senza la mediazione dei critici e dei commentatori professionisti.

- Preferisce usare frasi brevi, 

- metafore di facile comprensione;

- versi, anch’essi brevi, divisi in sintagmi, o in parole singole, capaci di dare più respiro a chi legge.

- Le parole le trae con cura dall’uso comune, ma scelte con gusto, cercando la scorrevolezza,

- la sintassi è attenta alle assonanze, agli accenti, alle allitterazioni, agli enjambement per variane i ritmi e la tensione emotiva;

- perciò i versi suonano come musica, producono una sensazione di distensione e di piacere e creano pause che producono vibrazioni profonde nell’animo di chi legge.

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