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Dal punto di vista editoriale il testo, pur corredato di una copertina efficace ed attraente, non ha ricevuto una cura adeguata, della quale era pur degno, visto alcuni errori evidenti come, per citarne alcuni, quelli di stampa, vedi ad esempio, la pagina 21 che per essere letta bisogna rovesciare il libro, - tale è la copia in mio possesso - la poca importanza data agli “a capo”, la penuria di pagine bianche, i caratteri di stampa piuttosto piccoli, la rilegatura che si sfalda facilmente.
Dove l’autore raggiunge vette di maggiore rispetto, non diversamente da quelle raggiunte nel suo primo romanzo “Il prezzo dell’amore”, edito dalla stessa casa editrice nel 2003, ISBN 88-88171-64-9, di più pregevole fattura, è il romanzo breve “Il segreto di Sara”.
Questo lavoro è un romanzo in quanto, in una trama più o meno articolata, narra la storia di un insieme di personaggi dal loro primo incontro fino alla morte, con dovizia di particolari sulle singole vicende, sui loro rapporti con la società e con l’ambiente, in un intreccio di fatti altamente umani e significativi.
E’ storico perché l’autore non solo inserisce i suoi personaggi in un’epoca e in un luogo preciso (la narrazione comincia dal 20 ottobre del 1943 e si protrae per circa venti anni, non senza un excursus sulla storia anteriore dei personaggi e sul clima politico-culturale di quel tempo), ma anche perchè ricostruisce le tensioni nazionali e internazionali di allora e quelle più specificatamente paesane tipiche del profondo Molise, del quale, con reiterate descrizioni di panorami, con la citazione dei nomi geografici realmente esistenti, pur dando un nome fittizio al luogo del rifugio, ci consente di circoscrivere al massimo la zona dove si svolge ogni singola vicenda narrata.
E’ un romanzo breve perché tutta la trama si conclude in poco più di cento pagine, ma che avrebbe potuto avere uno svolgimento anche di più ampio respiro ed è popolare perché tale è l’assunto dichiarato esplicitamente dall’autore durante la presentazione dell’opera ai futuri lettori, ma anche perché la sua poetica è tutta rivolta a manifestare la profonda e sofferta vita delle persone più umili, che qualunque storia finge di ignorare. Non per altro il narratore preferisce usare il vernacolo in molti suoi lavori narrativi e poetici.
L’autore è figlio dei grandi maestri della nostra letteratura nazionale. Si muove sul solco manzoniano per l’abbondanza di spazi poetici narrativi che brillano qua e là di luce propria nel corso della sua narrazione, su quello “vagamente verghiano” e verista come faceva notare la Frattolillo nella premessa al primo romanzo, su quello di Vittorini, di Tozzi, dello stesso Iovine che hanno segnato lo spirito della narrativa del novecento e in genere sul Neorealismo moderno, letterario e cinematografico.
Sono sicuro che qualunque buon cineasta dei nostri tempi sarebbe in grado di realizzare con i due romanzi citati film di grande effetto umano e di sicuro rispetto.
Qui, come nel precedente romanzo or ora citato, l’autore tocca i vertici più alti della sua narrativa sia per l’accorata passione con cui presenta i suoi personaggi, da quelli perseguitati come Sara e suo figlio Samuele, a quelli che li proteggono coscientemente mettendo a repentaglio la loro stessa vita come il Parroco del paese e l’ostetrica Licia, fino a quelli meno coscienti dei pericoli che corrono ma fortemente motivati dall’affetto e dalla considerazione che le persone a loro raccomandate meritano per le loro virtù strettamente personali e la profonda simpatia che ispirano.
I due romanzi hanno uno svolgimento storico pressoché parallelo. Le vicende narrate avvengono nel Molise, in tempi pressoché uguali (Antonio Tracanna del primo romanzo potrebbe essere benissimo un coetaneo di Samuele, il figlio di Sara, o uno dei figli dei contadini che giocarono con lui in quel luogo isolato del Molise, raggiungibile solo a piedi o a dorso di mulo) in un ambiente cioè che Rita Frattolillo, nella premessa al “Il prezzo dell’amore”, ancora negli anni cinquanta-sessanta, qualifica come “arcaico e segnato dalla miseria”.
Codesta studiosa notava in quel libro la presenza di un assunto: “L’ignoranza produce mostri”, “Senza istruzione è impossibile vivere da uomini degni di questo nome” per cui tutto il romanzo si svolge come una tesi esplicitando tutte le conseguenze che ne derivano fino al necessario riscatto e alla definitiva vittoria del bene sul male.
Anche il “Segreto di Sara” parte da una premessa: “Le paure, quando diventano profonde, patologiche, producono effetti che condizionano a lungo la vita di chi le soffre” per cui producono difese i cui effetti sfiorano persino l’assurdo. Per questo motivo il figlio Samuele, in seguito e inaspettatamente, scopre di essere una persona che risulta inesistente nella popolazione del mondo (non molto dissimile dal Fu Mattia Pascal di Pirandello,sebbene motivato da un intento diverso: quello di conquistare la sua identità di essere anagraficamente vivente e di ottenere i diritti di cittadinanza di uno Stato) perché la madre, ossessionata dalla necessità di nascondersi, per evitare al figlio e a se stessa un possibile arresto con conseguente persecuzione, nasconde la sua origine ebraica, volutamente omettendo di denunciarne la nascita nei registri anagrafici.
L’autore fa di Sara il suo capolavoro, una giovane donna, rimasta sola con il figlio, in un mondo che ha falciato, per inaudita insania, tutta la sua famiglia: la madre, il padre professore universitario, il fratello medico votato alla cura dei miseri, lo sposo, i parenti, gli amici. Giganteggiano con lei tutti coloro che, dopo l’immane catastrofe, riescono ancora a ritrovare le loro ragioni di vita.
I personaggi molisani citati che vivono in grazia di Dio, le loro famiglie, come pure quello principale di Sara, sono circonfusi di un’aria di sacralità che mi fa pensare alle opere pittoriche del divino Millet.
Il narratore non omette di toccare grandi temi come quello dello stato d’Israele o altri di risonanza universale che riguardano il destino degli uomini, la necessaria e doverosa libertà di fede religiosa e di pensiero senza la quale l’uomo non è più tale, ma che non leda la dignità e il prestigio degli altri, il ripudio della dittatura, il diritto al lavoro, la riprovazione del delitto d’onore, la piaga dell’emigrazione, il ripudio della guerra e i grandi temi della persecuzione la quale grida vendetta davanti a Dio e agli uomini, della sofferenza, della solitudine, della solidarietà umana.
In questo romanzo breve, come nel precedente più corposo, non meno rappresentativo della umanità e della bontà del popolo molisano, l’autore erige un monumento imperituro a personaggi, apparentemente privi di importanza e di rilevanza sociale, come “zio Angelo”, e “zia Carmelina” , ma anche al Parroco del paese e all’ostetrica Licia, per la loro bontà, la loro umana comprensione, la loro generosità, la loro dedizione agli altri senza richiedere alcuna ricompensa.
Grazie, Ugo, per averci dato un’opera che fa tanto onore al nostro Molise.

Napoli 26 aprile 2009

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